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Giovedì, 31 Luglio 2014 00:00

Le aree a TOTALE DIVIETO DI PESCA sono la giusta risposta alla cattiva gestione?

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Dipende da cosa si sta cercando di proteggere: i pesci e/o la pesca?

Senza dubbio la cattiva gestione della pesca ha lasciato la porta aperta per i "chiudiamo questo, vietiamo quello", quel tipo di cose cioè che soddisfano il desiderio del legislatore per una rapida soluzione e invogliano la sua disponibilità a 'foraggiare economicamente' le organizzazioni che promuovono tali veloci soluzioni semplicistiche (che raramente sono poi così veloci).

Le "no fishing" area o le "no take zone" significano esattamente quello che è scritto: niente pesca, per decenni o a tempo indeterminato.


Un recente studio, relativo al Mediterraneo, ha rilevato quello che potevamo immaginare: "una indagine nel Mediterraneo ha rilevato una maggiore biomassa nelle aree marine protette rispetto a quelle parzialmente protette o a quelle senza limitazioni per la pesca".

Large-Scale Assessment of Mediterranean Marine Protected Areas Effects on Fish Assemblages

Difficilmente ci saremmo aspettati un incremento della biomassa come conseguenza della pesca (anche se può accadere quando si prelevano i predatori all'apice della catena o i pesci più grandi, con il risultato di avere molti più pesci piccoli in acqua e quindi maggiore biomassa).

Perchè questo studio? Perchè qualcuno ha ritenuto che valesse la pena pagare per farlo.

Nella fattispecie la Oak Foundation, la Pew Charitable Trusts, lo Spain's National Council for Scientific Research (CSIC) e il Lenfest Ocean Program. I finanziatori non hanno alcun ruolo nella progettazione, raccolta dati, analisi, pubblicazione o preparazione del documentoo.

Che impatto possiamo aspettarci da questo e da altri studi simili?

La newsletter della Commissione Ambiente della Unione Europea, n. 381, titola:

"Il divieto di pesca è un fattore chiave per la ricostituzione degli stock nelle aree marine protette"

( "Fishing ban enforcement is key factor in restocking fish in marine protected areas", visualizza il pdf)

Nell'introduzione leggiamo:

"Le aree marine protette nelle quali la pesca è proibita, contengono più pesci, inclusi quelli di alto valore commerciale, che quelle parzialmente protette o a libero accesso, secondo quanto rilevato da un recente studio su pesci degli ambienti rocciosi del Mediterraneo. Ciò suggerisce che le aree marine protette devono essere altamente protette per offrire la migliore opportunità di ricostituzione degli stock"

"Altamente protette" significa più pesci, anche di elevato valore commerciale. Buono a sapersi, ma a che serve se nessuno è autorizzato a catturarli? E quindi che dire dei servizi ecosistemici, dell'economia, degli interessi che dipendono dallo sfruttamento dei pesci? Tutto perso, in nome di un meraviglioso acquario marino. E a tutto ciò bisogna aggiungere che questo non farà altro che spostare lo sforzo di pesca altrove... ma dove?

Gli stock ittici possono ricostituirsi. Questa è una delle cose meravigliose della natura.

La EAA - European Anglers Alliance - promuove lo sfruttamento sostenibile delle risorse ittiche.

Le zone a totale divieto di pesca devono essere l'ultima possibilità da considerare e non devono essere utilizzate come un sostituto di una appropriata gestione della pesca.
 

Le lobby di pesca dovrebbero stare molto attente quando si schierano contro la necessità di incremento delle misure di gestione, perchè così facendo lasciano tutto nelle mani di chi propone il  totale divieto. Ciò sta già accadendo e, conseguentemente, vedremo incrementare il numero di studi di questo tipo, il loro finanziamento e la loro pubblicazione. La pressione sarà tale che vedremo un numero sempre crescente di aree a totale divieto di pesca. Per tutti.

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