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Giovedì, 06 Aprile 2017 18:32

Testo unificato sul settore ittico 2.0

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Il “Testo unificato sul settore ittico”  è nuovamente in lizza con una stesura modificata, dopo che la pesca professionale ha incalzato la politica con manifestazioni di piazza davanti ai palazzi del potere romano.
La nuova stesura interviene abbassando le misure di contrasto alla pesca illegale e ribadendo il coinvolgimento della pesca ricreativa con l’imposizione di una licenza a pagamento.
Rimandando ai nostri precedenti interventi in tema di licenza onerosa, notiamo che la sostanza della proposta di legge è rimasta invariata nonostante alcune novità.

Nella redazione attualmente in ballo è sparito il riferimento al Coni come affidatario della gestione della pesca ricreativa e alla "promozione della pesca sportiva" viene assegnato il 20% dei proventi, anziché il 10% precedentemente previsto, portando la parte destinata alla pesca commerciale dal 60% al 50% . Il principio non cambia, continua a mancare l'originario legame dell'autorizzazione alla pesca (licenza) ad un piano di ricerca a suo tempo programmato dallo stesso Ministero e vengono rimandate ad atti successivi la definzione degli importi da pagare e una revisione degli attrezzi ammessi per la pesca ricreativa.

Riguardo alla "promozione della pesca sportiva", resta da capirne il significato possibile, considerando anche che l'articolo 1 è chiaro nel definire come scopo del provvedimento quello di "sostenere le attività della pesca marittima professionale e dell’acquacoltura". Per questo non sembra eccessivamente complottistico temere un possibile collegamento della destinazione al fatto che l'articolo 8 in tema di pescaturismo specifica tra le attività previste quella dello "svolgimento dell'attività di pesca sportiva", che potrebbe far indirizzare quindi anche i finanziamenti per la pesca ricreativa verso le aziende della pesca commerciale.

Il problema comunque sta a monte, dove viene facile considerare accettabile una licenza fatta per sviluppare la pesca ricreativa, non riuscendo ad inquadrare l'idea di una buona licenza nella realtà del comparto pesca e nel sistema di principi che stanno alla base della fruizione delle risorse pubbliche quando su queste gravi anche uno sfruttamento commerciale. La minaccia di una licenza di questo tipo rischia di farci rapidamente assuefare all'idea stessa di licenza a pagamento in una deriva slegata da qualsiasi programmazione.
Se una buona licenza garantirebbe comunque una ulteriore marginalizzazione del settore ricreativo ed esclusione dalle dinamiche di comparto, la cattiva notizia è che si sta prospettando una cattiva licenza. L'unica licenza onerosa davvero buona potrebbe essere una decisa dallo stesso settore ricreativo per finanziare le proprie funzioni interne, ma potrebbe essere realizzata solo in conseguenza di un percorso di conoscenza e di integrazione normativa. Un percorso che  dovrebbe essere a carico del comparto perché attinente principalmente alla sua stessa economia.
 
La posizione di APR è e resta che nel contesto attuale la licenza di pesca in mare è e dovrebbe restare di “uso commerciale” e non di “pesca” e che la pesca ricreativa dovrebbe continuare ad avere una autorizzazione gratuita a fini di ricerca scientifica.

La UE sta per imporre la valutazione dell’impatto della pesca ricreativa avallando così una logica di concorrenza per la fruizione delle risorse. La stessa UE  dice che la pesca ricreativa è materia di competenza degli Stati membri  tenendola ancora ai margini della Poitica Comune della Pesca ma sta evidentemente per infrangere la regola, instaurando una discriminazione di fatto tra un settore, quello commerciale,  nel quale è di fondamentale importanza il dato economico e sociale e uno, quello ricreativo, per il quale sembra vada considerato solo (o comunque prioritariamente e separatamente)  l’impatto sulle risorse.

Trovandoci proditoriamente inseriti in una legge che ha come fine dichiarato quello di "sostenere le attività della pesca marittima professionale e dell’acquacoltura" l'unica prospettiva realisticamente auspicabile finisce per essere quella del bonus assegnato al settore ricretivo ad addolcire il boccone amaro dell'obolo imposto per finanziare la filiera commerciale.

Nelle sedi istituzionali resta ancora aperto lo spazio per la cosiddetta concertazione, anche attraverso la consultazione dei portatori di interessi, lasciando per inciso il settore ricreativo in fondo alla lista..
Nell'audizione delle organizzazioni della pesca commerciale e dell'acquacoltura del 5 aprile scorso in Commissione Agricoltura le rappresentanze presenti hanno fatto pochi pessimi cenni alla pesca ricreativa (ad esempio Marinerie d’Italia e d’Europa, la stessa delle manifestazioni romane contro  il caro sanzioni per la pesca illegale, ha proposto di eliminare il riferimento alla pesca  ricreativa per le quote del tonno rosso) e non c'è stata nessuna menzione della licenza ricreativa a conferma di una tacita unanimità sul tema.

La prospettiva è evidentemente quella di una pessima evoluzione dello scenario che ci riguarda attraverso un intervento istituzionale che va nella direzione diametralmente opposta a quella invocata come utile ad una gestione organica del comparto che integri la fruizione non commerciale in modo da valorizzarne il potenziale sociale ed economico.
Non ci resta che sperare che la suddetta concertazione riesca almeno ad attenuare le conseguenze del pugno in faccia che la politica sembra determinata a darci.

Si sa che da qualche parte esiste una stanza chiusa dove ferve lavoro che ci riguarda, del quale veniamo a sapere a decisioni prese. Una stanza dove le responsabilità appaiono condivise da tutti gli attori e l'unico motivo di giustificazione della tendenza in atto potrebbe essere la conoscenza assolutamente  parziale e incompleta del contesto.
Un motivo certo reale, oltre che recidivo, ma assolutamente compatibile con una forte azione di lobby ai danni della pesca ricreativa, che è naturale supporre dove, a fronte di una necessità di intervento per il settore ricreativo, l'azione politica passa per un testo finalizzato al sostegno della pesca commerciale.
Un approccio che al momento può garantire facili vittorie ma che è inevitabilmente destinato ad essere eroso in base ad evidenze riconosciute anche dalla comunità scientifica, in barba alla memoria dell'arroganza di chi oggi muove le carte in tavola da dietro le quinte ai danni del milione di cittadini pescatori rimasti fermi al “contiamoci per contare”.

Drastico per drastico, rimandando ad aggiornamenti sullo stato dell'arte, se una metà del milione di pescatori censiti, pagherà anche solo 10 euro a testa all'anno, fanno 5 milioni di euro, ovvero, nella proposta attuale, un milione per  "noi". Possiamo inziare a chiederci come potrà essere usato, sia bene che male.

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