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Giovedì, 24 Luglio 2014 00:00

Il buono, il brutto e il cattivo: il tonno, l’angler, il bracconiere.

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Seppur prevista e ormai ‘collaudata’, la chiusura anticipata della stagione di pesca ricreativa al tonno rosso, ci spedisce in uno scenario da film western nel quale tutti sembrano avere qualche cosa da dire, e i proclami viaggiano nell’etere, nei comunicati stampa, sulle riviste, o sui siti web come proiettili nell’assolato mezzogiorno davanti al saloon di uno qualsiasi dei terrosi villaggi del West, silenzioso e apatico fino a dieci minuti prima.
Tre sono i principali protagonisti della nostra storia: il tonno, l’angler  e il  bracconiere e/o venditore al nero.

La pesca al tonno, ormai lo sanno anche i bambini, è regolata da leggi sovra nazionali che prevedono che a livello nazionale sia rilasciata ai pescatori ricreativi una specifica autorizzazione per poterli sbarcare, nel numero massimo di uno al giorno di taglia consentita, previa dichiarazione di cattura e di sbarco, fino ad esaurimento della quota (solitamente ridicola) assegnata alla pesca ricreativa.
Grazie a queste regole, insieme alle restrizioni a carico della pesca commerciale, lo stock di tonno rosso del Mediterraneo è in evidente ripresa, si assiste, di anno in anno, ad un incremento nel numero di esemplari e nelle loro taglie.
E l’angler, il pescatore ricreativo propriamente detto, rispetta diligentemente tali regole, pescando in possesso della specifica autorizzazione, dichiarando il pescato come previsto, e trattenendo solo ciò che gli è consentito ai fini del consumo alimentare diretto e rilasciando, vivo, ciò che non intende consumare o ciò che la legge impedisce di sbarcare.
Ma nel far west dei regolamenti, delle restrizioni, dei limiti, delle leggi da rispettare, i fuori legge, si sa,  sguazzano paghi come anatre sul lago, rivendicando molteplici giustificazioni al loro comportamento illegale sotto la bandiera del “così fan tutti”. Ed ecco quindi affacciarsi sulla scena il bracconiere che, utilizzando spesso gli attrezzi e le imbarcazioni tipicamente utilizzate dai pescatori ricreativi, e ben mimetizzato tra essi,  oltre a catturare e sbarcare tonni sotto taglia e/o in numero superiore al consentito, nella maggior parte dei casi vende (illegalmente)  il proprio pescato richiamando l’attenzione e le ire della pesca commerciale verso il settore ricreativo della pesca. La pesca al tonno è una pesca costosa, in termini di carburante, mantenimento della imbarcazione, attrezzature e eventuali pasture per quelle tecniche di pesca che lo prevedono. Una pesca costosa che oggi tutti pensano di poter fare, trovando nella vendita del pescato (pare piuttosto redditizia) un buon sistema per sostenere le spese di cui sopra. E il fenomeno illegale è evidentissimo, tonni che passano da un bagagliaio ad un altro nei parcheggi, fotografie di  esemplari evidentemente sotto misura, trattenuti e ostentati con orgoglio sui social network, boe in mare aperto che sono luoghi di scambio tra venditore e acquirente, e questo nel silenzio assordante degli organi deputati al controllo che avocano come giustificazione alla mancanza di controllo, la difficoltà (più presunta che reale), del controllo sui pescatori non commerciali in quanto non identificabili. Mentre si sa, in moltissimi casi, specialmente a livello locale, tutto di tutti. E spesso il comportamento illegale non è poi così lontano da ciascuno di noi, lo si può riscontrare facilmente tra amici pescatori,  vicini di barca al pontile, al ristorante sotto casa che acquista dal pescatore privo di licenza commerciale etc…
Certo è che, nel momento in cui il rapporto tra l'angler (pescatore ricreativo regolare) e bracconiere diventa verosimilmente dell’ordine di unità contro decine, risulta estremamente difficile sostenere con forza la flebile voce dei pescatori ricreativi, specialmente in un ambiente che già ci rema contro e con un pesce che muove parecchio denaro: lobby di pesca commerciale sempre più determinate a togliere definitivamente la misera quota ai ricreativi, regolamenti europei e nazionali che ci inseriscono impropriamente e senza possibilità di appello tra la pesca illegale non dichiarata e non regolamentata (IUU), e in questo scenario evocare un maggior numero di quote risulta ancora più difficile di quanto già sia. Senza contare la totale assenza di dati relativi all’indotto economico generato – a tutto tondo – dalla pesca ricreativa al tonno rosso.

Esistono soluzioni? Ci sono strade preferenziali da percorrere? Scelte drastiche gioverebbero? E drastiche quanto?


La migliore delle ipotesi, fantascienza nel nostro paese, sarebbe un radicale cambio di mentalità che trasformasse il bracconiere in angler (pescatore ricreativo propriamente detto che non vende il pescato e rispetta i regolamenti). Una cosa per la quale occorrerebbero probabilmente cambi generazionali e che potrebbe comunque verificarsi solo attraverso una lungimirante politica di intervento sulla cultura della pesca non commerciale che nel nostro paese resta palesemente arretrata e gravata da un fardello di cultura tradizionale di sfruttamento delle risorse propria di un contesto socio economico profondamente mutato nel corso degli ultimi decenni.


Una possibile, realistica, soluzione, per quanto parziale, potrebbe essere quella di istituire la figura di charter di pesca e guida di pesca legalmente riconosciute, lavoratore in proprio, che riconoscerebbe nella tutela dello stock e nel rispetto delle regole la garanzia di un futuro per il suo lavoro. Ma se autonomamente non fosse in grado di rendersi conto dell’importanza della tutela della risorsa grazie alla quale campa, sarebbe comunque facilmente identificabile e controllabile.
La figura della guida di pesca, lavoratore ed imprenditore  cambierebbe profondamente lo scenario dei rapporti tra le componenti del settore pesca, introducendo sul versante non commerciale una componente di economia direttamente legata alla cattura dei pesci, nella quale quindi il reddito non dipende solo dalla fornitura di servizi  o dalla vendita di attrezzature ma dalla possibilità di cattura del pesce, ergo: più pesci in acqua più business.


Una terza ipotesi, la più gettonata, NON DA NOI, ma da tutti gli altri settori della pesca e anche probabilmente dalle amministrazioni,  potrebbe essere quella di consentire ai ricreativi solo il catch&release (con una piccola quota accantonata per mortalità accidentale) così come accade ad esempio in Spagna, eliminando di colpo tutte le lamentele sulla scarsità di quota, sulla chiusura anticipata e così via.  Il rovescio della medaglia è però che  togliendo alla pesca non commerciale la finalità, seppur limitata, del consumo alimentare del pesce catturato, si creerebbero le condizioni ideali per dar forza a chi,  sia dal versante animalista che da quello commerciale,  accampa ragioni per risolvere definitivamente il problema con una completa chiusura della pesca ricreativa del tonno

Il correttivo indispensabile in tutti i casi, e che dovrebbe bastare  almeno a tenere sotto controllo il problema, resta quello di una efficace attività di controllo   che richiederebbe non tanto un maggior impegno di risorse quanto una loro migliore utilizzazione.
La mancanza di  razionalizzazione se da una parte sembra suggerire un difetto di capacità organizzativa, dall'altra fa pensare a una deliberata strumentalizzazione dei fenomeni illegali per i quali la pesca non commerciale viene utilizzata come capro espiatorio


A qualcuno vengono altre idee? Quale vi sembra la strada migliore e quale quella che possiamo realisticamente sperare di veder evolvere dalla situazione attuale?

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